Bambini in Via D’Amelio contro la mafia

Borsellino: bambini in Via D’Amelio, contro la mafia

di Antonella Lombardi

“Perche’ Paolo Borsellino e’ morto? Chi ce l’aveva con lui?”. E’ questa la domanda piu’ ricorrente che alcuni, tra i cinquanta bambini presenti questa mattina in via D’Amelio, dove stamani si e’ recato anche il presidente della Camera Gianfranco Fini, rivolgono alla sorella del magistrato ucciso, Rita. “Ancora oggi non so cosa rispondere – dichiara l’eurodeputato – ma mi fa piacere constatare l’ansia di sapere e di ragionare dei piu’ giovani, quando gli adulti hanno smesso di cercare le risposte”.

“Sono qui perche’ volevo vedere il posto in cui e’ stato ucciso il giudice Borsellino, so che ha mandato in carcere molti mafiosi”, dice Alice Lo Curcio, 9 anni. Per Mattia Muscariello, 8 anni, e’ “importante ricordare l’anniversario della morte, ma siamo qui perche’ Borsellino e’ ancora vivo grazie a noi. La mafia e’ come una malattia, ma per le malattie ci sono i medicinali – aggiunge Mattia – Per la mafia ci siamo noi, siamo noi i buoni e la vinceremo”.

Sin dalle prime ore del mattino i bambini sono stati i protagonisti dei percorsi di legalita’ organizzati in via D’Amelio dall’Agesci e dal circolo Arci Blow up di Palermo. Hanno dai 4 ai 12 anni, provengono dall’associazione ‘Zen Insieme’, dalla ludoteca ‘Il giardino’ e da altre associazioni di quartiere.

Si sono riappropriati del territorio dando vita a un luogo che non puo’ essere solo un simbolo di morte”, dice Rita Borsellino. Le fa eco il fratello Salvatore, che in via D’Amelio capeggia il movimento delle “agende rosse”: “Le passerelle politiche sono estranee a questo luogo, ci sono ancora oggi, anche se sono meno ricorrenti rispetto al passato, e ne prendiamo atto. Ma le istituzioni non possono sottrarsi alle contestazioni, anzi hanno il dovere della memoria, anche se c’e’ chi non ha il coraggio di presentarsi”. “Oggi siamo comunque qui per dare vita al progetto di Paolo e per riportarlo in vita – continua Rita Borsellino – come ricorda questo ulivo che mia madre ha voluto piantare proprio davanti la nostra casa e che arriva direttamente da Betlemme. Un messaggio di pace per Paolo inviato dalle donne israeliane e palestinesi”.

Lo stesso ulivo davanti al quale si e’ fermato in raccoglimento don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, che ha invitato i ragazzi a combattere “una malattia mortale, molto diffusa oggi, che si chiama rassegnazione, un peccato mortale che non possiamo permetterci”.

Fonte: Ansa.it

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