Isola d'Elba. L'isola dei bambini
giugno 30th, 2015
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Ho appena letto un bel post di Monica Ricci Sargentini, sul blog La 27esima Ora. Il post si intitola “In equilibrio tra maternità, lavoro, carriera. Si può essere meno acrobate?” ed è stato ispirato da un’intervista a Sarah Jessica Parker in occasione della proiezione del film Ma come fa a far tutto? in cui l’attrice, che ha tre figli di cui due gemelle piccole, impersona Kate Reddy – una mamma in carriera che cerca di conciliare lavoro e famiglia con effetti spesso disastrosi e anche esilaranti (come raccontata la giornalista in un articolo del Corriere ).
Il post comincia con una frase della Parker, che nell’intervista dice “Arriva un momento in cui bisogna ammettere che c’è un deficit, che il lavoro entra troppo nella tua vita e tu ti guardi indietro e vedi che 18 mesi sono passati e che senza accorgertene hai perso il punto di vista sulle cose”.Già. Come si fa a non perdere la giusta prospettiva? A mantenersi sempre in equilibrio senza perdere l’equilibrio interiore? Come si fa a fare tutto senza perdere se stesse? Forse, per rispondere a queste domande, dovremmo fare qualche passo indietro e chiederci: “Perché facciamo quello che facciamo?” e “cosa vogliamo veramente dalla vita?”.
Insomma, non potrebbe essere proprio questo il primo scoglio da affrontare per noi donne moderne? Ci affanniamo, corriamo, sbraitiamo, ci stanchiamo, ci sacrifichiamo, e alla fine… non sappiamo più nemmeno in nome di cosa. Il più delle volte non riusciamo nemmeno a fermarci, a riflettere, a tirare le somme per capire se la direzione che abbiamo preso è quella giusta, se per caso non ci siamo perse nel tran tran di tutti i giorni, se siamo rimaste fedeli ai nostri propositi, se sappiamo ancora quali sono i nostri obiettivi.
Le donne che scelgono di restare a casa per seguire i propri figli, invidiano quelle che lavorano. Le donne che lavorano invece sono spesso sopraffatte dai sensi di colpa e invidiano quelle che stanno a casa. Tutte noi, ne sono sicura, facciamo fatica a fare i conti con la quotidianità, con il ruolo che ci siamo imposte o che ci hanno cucito addosso e 9 volte su 10 perdiamo di vista noi stesse.
Siamo delle sopravvissute. Non è facile, lo sappiamo tutte. Eppure, nonostante gli sforzi, le iniziative, le organizzazioni pro donna, pro mamma, pro carriera, non possiamo non ammettere che c’è ancora tanto da fare. Siamo ancora lontane, lontanissime da quell’equilibrio a cui tutte aneliamo. Riprendo un passaggio del post della Sargentini che riporta una frase del film, in cui la protagonista dice al marito: “Ti amo e adoro i bambini ma senza il lavoro non sarei me stessa”. La giornalista sottoscrive totalmente. Io anche.
Eppure che strazio. Che fatica. E, soprattutto, perché? Mi guardo indietro e provo ad analizzare il percorso che ho fatto fino ad oggi, con lucido distacco. Ho lasciato l’Italia molto giovane. Mi sono laureata in Inghilterra, dove ho vissuto per cinque anni, e questa esperienza per me è stata una sorta di riscatto sociale. Una rinascita, un po’ come aprire una finestra sul mondo, sulla vita, su quello che sarei potuta diventare. Per anni, ho investito tutto – tempo, emozioni, formazione, aspirazioni e sogni – sul mio lavoro, sulla mia carriera. Poi, come spesso accade, come è accaduto per molte, si diventa “grandi”. Si sente la necessità, l’urgenza di dare un senso più ampio alla propria vita, di “duplicare” in qualche modo se stessi dando vita ad altri, ad esserini piccoli eppure capaci di riempirti le giornate, la mente, il cuore più di qualsiasi altra cosa al mondo. Come Kate Reddy nel film, ho per cosi dire “rallentato”. E sono diventata una persona totalmente diversa da quella che mi ero immaginata, da quella su cui avevo investito tutta me stessa.
Ed oggi mi chiedo: ho rallentato abbastanza? Ma poi, abbastanza per chi? Perché ho sempre la sensazione di aver rallentato troppo per me stessa e troppo poco per i miei figli? Perché resta il senso di inadeguatezza, la frustrazione di non riuscire a fare, a conciliare? Insomma, è una situazione in cui tutti perdono o tutti vincono? E fra 10, 15 anni cosa penseranno i miei figli di me? Cosa ricorderanno di me? Cosa proveranno nei confronti di questa donna che continua a correre, a dividersi tra casa, lavoro, famiglia, con tanta forza di volontà ma anche con tanta fatica? Saranno arrabbiati perché non ho passato abbastanza tempo con loro e per loro? O saranno orgogliosi di come ho provato a mantenere in equilibrio i pezzi della mia e della loro vita come fa un giocoliere professionista? Quante mancanze verso di loro la mia coscienza potrà sopportare? E quante mancanze verso me stessa invece saprò accettare senza perdermi del tutto?
Parafrasando il titolo del film della Parker, sembra che oggi la domanda più ricorrente tra noi mamme e donne sia “ma come (si) fa a far tutto?”. Ho provato a cercare nel web testimonianze di donne che potessero convincermi che c’è un modo. Ne ho trovate tante, la maggior parte all’estero e lavoratrici autonome. Tante che sono riuscite, pare, a conciliare brillantemente famiglia e lavoro. Reinventandosi. Mettendosi in discussione, cercando e trovando nuovi modi per affermare se stesse e le loro competenze. Sono donne con storie molto diverse, ma per tutte il segreto è stato quello di osare. Di provare a cambiare. Magari organizzandosi meglio. Imparando a delegare. Ma soprattutto accettando il fatto che non esistono mamme perfette. O donne perfette. Né, tantomeno, figli perfetti.
E, allora, proviamo a fare qualche passo indietro. A partire dai fondamentali e dalle piccole, grandi verità:
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