Incontri

Viaggiare significa anche abbracciare il diverso. E non sempre "diverso" si riferisce al colore della pelle, alla religione o alla cultura. Ecco la storia di un weekend trascorso in Val di Non che è stato un vero dono di vita.

La storia che state per leggere non è stata scritta da me, ma da papà Fabio. Un evento più eccezionale che raro, ma – quando succede – ne vale davvero la pena. È il racconto di un incontro speciale avvenuto in Trentino lo scorso fine settimana. Uno di quegli incontri che cambia improvvisamente la percezione delle cose. E che diventa un dono. Una lezione di vita.

Prima di passare la parola a papà Fabio, una precisazione è doverosa. La pubblicazione di questa storia è stata gentilmente ed orgogliosamente autorizzata dalla famiglia Laquidara, protagonista del racconto. Sue sono anche tutte le foto che vedete nell’articolo. 

Buona lettura!

Sono ospite del “Pineta Hotels” di Coredo, in provincia di Trento. Qui posso anche dimenticare “l’incertezza che affascina” della nebbia, il suo “colmare l’abisso che circonda il solitario”. Qualche citazione, ahimè, non mi salverà ed io non sono dotato della poesia che richiederebbe la descrizione di luoghi così primitivi e potenti da farti recuperare una dimensione più umana, meno narcisistica.

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Del resto, questo racconto nasce proprio dal desiderio di valorizzare gli uomini e le loro relazioni. Ci avete mai pensato? Siamo una fonte ecologica ed inesauribile di emozioni, il carburante più potente che sia mai stato concepito.

Una premessa è doverosa. Io non conosco quasi nulla della storia delle persone di cui mi accingo a raccontare e proverò, a volte goffo altre incerto, a dare voce a quello che ho sentito nel trovarmi insieme a loro. Ho cercato di pormi come farei di fronte ad un sogno. I sogni appaiono per lo più incomprensibili, confusi, bizzarri, ma le emozioni che lasciano sono reali, vivide, potenti. Vi siete mai ritrovati in lacrime o sorridenti al risveglio da un sogno?

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Poiché non ho la stoffa del cantastorie, introduco subito i protagonisti.

Sullo sfondo di questo paesaggio onirico, ecco la Famiglia Laquidara, composta da papà Lanmarco, mamma Carla, e i due figli Eleonora ed Edoardo. Edoardo è un ragazzo di 23 anni che vive sulla sedia a rotelle, eppure quello che mi colpisce di lui è il sorriso, la forte motivazione a fare da solo, la continua ricerca di uno sguardo, di un contatto, dell’altro. Edoardo dà l’impressione di affrontare con dignità e tenacia la fatica di esistere e tutta la famiglia Laquidara sembra conoscere molto bene le regole di questa battaglia.

Partecipano a tutte le attività in programma. Una partecipazione attiva, genuina, mai ostentata.

L’ultimo giorno di permanenza, prendiamo parte ad una escursione a piedi, alla volta del Santuario di San Romedio, arroccato sulle montagne di Coredo.

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Livio, che fa parte della grande famiglia Sicher (proprietaria dell’albergo) è la persona che organizza le escursioni e accompagna gli ospiti. Esperto conoscitore della natura e del territorio, ci delizia con le sue storie mentre camminiamo nel bosco, ma – con tatto e delicatezza – si occupa anche di Edoardo.

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Non impone la sua presenza, ma asseconda ogni singolo ed impercettibile movimento del ragazzo, lasciandogli il tempo necessario per accettarlo come suo accompagnatore. Ed io dov’ero? Ero lì, con due bimbi piccoli. E, forse, proprio perché sono papà, non staccavo gli occhi e soprattutto il pensiero dalla famiglia Laquidara. Come sta Edoardo? Come si sente? Come hanno fatto finora? Cosa gli riserva il futuro?

Mentre si percorre il sentiero, tutto in discesa, non faccio altro che pensare al ritorno. Sarà tutto in salita, ce la farò?

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Livio, accompagnato dal suo fedele Golden Retriver, non si è mai staccato da Edoardo, che sorrideva, chiacchierava, era felice. E si godeva il momento anche tutta la famiglia Laquidara.

Papà Lanmarco conversava con Livio, Mamma Carla scattava foto con il suo fedele IPAD ed Eleonora chiacchierava con il gruppo delle femminucce. La visita ben presto termina e ci accingiamo al rientro. Vedo Edoardo per un attimo da solo, lo sguardo rivolto al ripido sentiero che ci aspetta, questa volta in salita. È più forte di me, devo e voglio avvicinarmi a lui, alla sua fatica, a quella della sua famiglia.

Mi faccio largo tra gli altri ed anticipo di un soffio i suoi genitori e lo stesso instancabile Livio. Quasi devo farli da parte con la forza. Gli dico che vorrei aiutare e Carla, senza scomporsi neppure per un istante, mi dice: “È faticoso, è molto faticoso”.

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Spingo, spingo più che posso, ma dopo pochi metri la realtà mi travolge. Non ce la faccio. Comincio, così, a sentire forse un minuscolo frammento della fatica, del senso d’impotenza, della solitudine che vedo negli occhi della famiglia Laquidara. Ma guardo ancora Lanmarco e Carla e vedo anche tutto l’orgoglio e la gioia di essere i genitori di Edoardo ed Eleonora.

Gli altri si uniscono a me. Decidiamo di usare il guinzaglio di Burro, il Golden Retriver di Livio, come fune da traino. Io tiro e gli altri spingono.

Il rumore dei passi, il tumulto dei pensieri, l’affanno dei respiri ed il battito del cuore si fondono a comporre una sinfonia magistralmente diretta dalle emozioni che il nostro stare insieme ha prodotto.

Tornare in albergo è stato difficile, stancante, ma gratificante. Mi ha reso felice e credo abbia donato un po’ di gioia a tutti.

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Io non credo nelle dimostrazioni di forza. Servono solo a far soccombere l’aspetto più delicato e fragile di noi. Quello che ci fa somigliare ad Edoardo, che ci fa sentire un po’ come Edoardo. Ma anche come Lanmarco, Carla ed Eleonora. Ci avvicina a chi solo in apparenza è così diverso e che, proprio per questo, ci spaventa. Credo, invece, che entrare in contatto proprio con queste parti tanto temute ed a volte rifiutate, ci abbia dato la motivazione per condividere un esperienza emotivamente molto forte. Ci ha permesso di mettere da parte tutto ciò di cui eravamo certi e dato la capacità di sostare nell’incertezza, nella frustrazione e nel dubbio.

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Durante il pranzo, mi sono avvicinato al tavolo della famiglia Laquidara. Edoardo, con quel sorriso da birba curiosa, ha chiesto qualcosa di me. Di dove sei? Cosa fai? Ho risposto molto volentieri alle sue condivisibili curiosità ed ho chiesto a Papà Lanmarco quali fossero le loro origini. Lui, quasi a volermi regalare un ultimo tuffo al cuore, mi ha risposto: “Siamo di Carrara, al confine tra Toscana e Liguria. Non ci vuole nessuno. I Toscani ci considerano Liguri. I Liguri ci considerano Toscani.”

Penso che, in fondo, la famiglia Laquidara si senta proprio così. Una famiglia al confine tra speranza e delusione, accettazione e rifiuto, fiducia e diffidenza, condivisione e solitudine.

Grazie famiglia Laquidara! Grazie per l’esempio e per la speranza che rappresentate. Esempio per ogni genitore. Speranza per ogni figlio.

***

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2 Responses to Incontri

  1. Azzurra Rispondi

    18/12/2015 at 13:24

    Questo racconto mi ha commossa…anche noi ci confrontiamo ogni giorno con la diversità, e sapere che esistono persone così piene di rispetto, sensibilità e dolcezza, mi fa pensare che sì, anche per noi il cammino potrà essere più facile. Grazie per questa splendida testimonianza!

    • Valentina Cappio Rispondi

      21/12/2015 at 15:37

      Azzurra, grazie di cuore! Dopo questo tuo commento, che mi ha commossa, ho davvero voglia di conoscere te e la tua splendida famiglia un po’ meglio. Spero di vedervi presto!

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